Jacques Perconte
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  18 janvier 2020  
Luca, Beatrice, il giornale.
Così fotografia e cinema firmano il ritratto del tempo
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Da H.G. Wells al contemporaneo, in viaggio con Time Machine, mostra a Palazzo del Governatore che apre il calendario di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020

Dallo «Psycho» di Hitchcock dilatato su 24 ore al video di Perconte che si autogenera all'infinito.

 

L'introduzione e l'utilizzo di spazio e tempo sono tra gli elementi che meglio caratterizzano il passaggio dall'arte moderna a quella contemporanea. Coincidenza interessante, ciò avviene con la nascita della fotografia e del cinema poiché, rispetto alle arti tradizionali quali pittura o scultura, questi nuovi linguaggi implicano il superamento della staticità e il movimento come prima possibilità di sperimentazione.

Chi a metà '800 utilizzava la foto per provare a evidenziare microsequenze in cui qualcosa si stava muovendo, si sentiva più uno scienziato che un artista; a fine secolo XIX chi per mezzo di un'ingombrante macchina da presa riusciva a filmare il salto di un gatto, lo scorrere dell'acqua, il frantumarsi di una bolla colpita da una pallottola, non sapeva di essere un regista.

Eppure bastano pochi anni affinché gli artisti veri, quelli dell'avanguardia, assumano nel loro linguaggio questi curiosi esperimenti, elaborandoli in qualcosa di ben altra ambizione. I cineamatori dilettanti, così, si trasformano in veri e propri cineasti e già nelle microsequenze dei fratelli Lumière è presente lo schema di una struttura narrativa che prevede infatti uno sviluppo temporale, autentica novità dell'immagine in movimento.

Al Palazzo del Governatore, «Time Machine» apre il fitto programma di Parma capitale italiana della cultura nel 2020, un anno ricco di offerte nella città del Granducato e per l'intero territorio. Una mostra affascinante e criptica, ricercata e sfuggente, a tratti distante e sul finale più empatica, comunque piuttosto distante dal prodotto espositivo medio cui siamo fin troppo abituati, cominciando dal fatto che per vederla, gustarla, capirla, ci vuole tempo e chi pensa di cavarsela con uno sguardo rapido frontale è meglio che lasci perdere.

L'idea di «Time Machine» è venuta a Michele Guerra, assessore alla Cultura ma soprattutto docente universitario di Teoria del cinema, che ne ha affidato la cura a un altro esperto di settore, Antonio Somaini. Si avverte qua e là la poca abitudine al linguaggio espositivo che avrebbe dovuto essere più coinvolgente, così come più accorta e informata la scelta di inserire qualche opera d'arte contemporanea per meglio esplicitare il continuo scambio e la voluta ibridazione, appunto, tra arte e cinema (di assoluto valore c'è solo 24 Hours Psycho di Douglas Gordon, l'artista scozzese che, manipolando la percezione dei 24 fotogrammi al secondo, ha dilatato il capolavoro di Hitchcock fino a 24 ore). In compenso la sala centrale del piano superiore mette insieme le sequenze di film e registi molto conosciuti, Truffaut e Kitano, De Palma e Tarantino, Aronofsky e Friedkin, tra coloro che meglio hanno utilizzato la manipolazione temporale come fattore stilistico primario (ma tra i maestri del ralenti mancano Leone e Kurosawa).

«Time Machine», peraltro, è il titolo del romanzo proto-fantascientifico che H.G. Wells pubblicò nel 1895, lo stesso anno della prima proiezione pubblica dei film dei fratelli Lumière. Da questa coincidenza si snoda perciò il percorso, in parte cronologico, in parte tematico, che in sostanza ci dice che nel '900 arte e cinema si sovrappongono, si ibridano ed è molto difficile, nonché inutile, stabilirne i confini. Assumendo il presupposto, sarà ancora cinema il lavoro sperimentale di Jean-Luc Godard che si avvicina piuttosto alla teoria della post produzione su cui si è retta l'arte degli anni '90? Oppure, Harun Farocki, artista militante che usava sì il cinema e il video, ma lo decontestualizzava spostandolo dalle sale o dalla tv ai musei o alle gallerie?

A tenere tutto insieme, l'effetto di un tempo sospeso che risulta al fine metafisico, last but non least dimostrazione che dal postmoderno non siamo ancora usciti e forse non ne usciremo mai. Chi fa oggi cinema d'arte sembra guardare con nostalgia all'era dei primordi, recuperando atmosfere antiche per uno stile volutamente vintage ottenuto attraverso sofisticati programmi del computer come nel caso di Le tempestaire di Jacques Perconte, un video che si autogenera all'infinito partendo da immagini di paesaggio reali e restituendo un effetto di seducente pittorialismo.

Ricco e colto il catalogo con testi tra gli altri di Raymond Bellour, Georges Didi-Huberman, Eline Grignard e Marie Rebecchi.

 


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