Jacques Perconte
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  13 juin 2016  
Caotide, L'emergere del possible.
Ettrick
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Ettrick (Francia, 2015, 57') è l'ultimo mediometraggio di Jacques Perconte, girato in Scozia, e che opera una certa scomposizione dell'immagine, la quale, lungi dal voler essere una ripresa di tecniche già usate, o meglio, avendole già macinate, tenta di dare loro un'originale vitalità, che si confà proprio a ciò che, di fatto, Ettrick mostra. In questo film Perconte opera, a nostro avviso, un interessante allineamento, o possiamo dire ancora, una combinazione tra tutti gli elementi in gioco nel film e questo, attenzione, è da intendersi fondamentalmente non tanto come una mera aderenza tra traccia e contenuto, riprendendo così un'altra forma, se non comunicativa, artistica, che è quella legata al linguaggio, piuttosto il film è una fabbrica e per esserlo deve tutta la sua costituzione ad essa e così la sua visione. Il discorso inizialmente potrebbe farci pensare semmai a una similitudine, nel senso che, appunto, come le varie materie vengono immesse nel circuito operativo della fabbrica per operare una modificazione delle stesse e quindi la formazione di un prodotto finale, così gli elementi, i contenuti se vogliamo, dell'immagine, nell'immagine, modificano l'immagine stessa, quasi andando a costruirla, partendo da essa, via via scomponendola e andando a formare una nuova immagine, che andrà sempre più a delinearsi dalla dispersione dei pixel che l'elemento ha creato e fatto proliferare. Non possiamo parliamo semplicemente di un discorso che concerne la destrutturazione dell'immagine e questo ce lo fa pensare lo stesso film, il quale appunto mostra non solo e non tanto la fabbrica, ma tutto ciò che può venire prima, da cui quindi si possono ricavare le materie prime, ad esempio, e ciò che viene dopo e con questo pensiamo al tessuto, che va a volte a riempire, anche del tutto, lo schermo. Con questo allora non possiamo pensare semplicemente a un lavoro sull'immagine e sulla sua destrutturazione, tecnica certamente essenziale affinché si possa reggere il film stesso e tuttavia ciò non basta perché, infatti, si rende palese l'aderenza alla formazione del film stesso, alla sua superficie diciamo, a come si compone, ancora meglio, e gli elementi che lo formano: a questo punto possiamo presupporre che la similitudine «il film come la fabbrica» non possa sostenersi come tale se non solamente per iniziare un discorso sul film, ma di fatto deve essere abbandonata. Il film è la fabbrica. Siamo abituati forse a pensare a una qualche divisione tra contenuto, elementi mostrati e struttura, tecnica dello stesso film, mentre ci sembra che Perconte qui mostri palesemente non tanto un'aderenza, quasi che appunto si possano intendere le due cose come separate precedentemente e poi riunite, piuttosto come i pixel e quindi la stessa superficie sia esattamente ciò che vediamo e ciò che compone l'immagine. Perconte in questo film rende gli elementi, la struttura stessa e la struttura che via via vediamo (s)farsi, come elemento stesso del film, per cui non possiamo davvero pensare a Ettrick come separato nel suo darsi e insieme mostrarsi. Non c'è un riprendere con la videocamera e una sua ripresentazione sullo schermo, come non c'è qualcosa che giochi come ruolo, ma invece c'è qualcosa che agisce come produzione stessa del film: ogni cosa non è attore del film, non è soggetto ripreso, ma continuamente ciò che processa e produce il film. Questa è la grande trovata di Perconte, che utilizza la superficie come tale, come produzione del film stesso. Ettrick, possiamo dire ancora, non ha propriamente un fine ultimo a cui aspira, ma produce e basta, non tanto forse produrre per produrre, alla maniera del capitalismo, ma piuttosto è una produzione che sì, si perpetua, ma perpetuandosi si modifica e non lascia all'omologazione, al silenzio degli elementi, piuttosto li intreccia tra di essi. Così, è in questa dimensione, imminentemente cinematografica, che la natura, i macchinari e quindi l'uomo stesso, si trovano non solo in una condizione tale per cui il loro collegarsi è continuamente costruttivo e distruttivo (lo vediamo nel farsi dell'immagine), ma anche, più primariamente, in una condizione per cui si trovano insieme nel modo del tessuto, i cui fili sono non solo intrecciati ma parte costitutiva sullo stesso piano di un insieme che, visionariamente, è il mondo stesso.

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